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Locomotiva a vapore




MUSI NERI

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Il rapido R25 - ricordo della 691

da “Maestri e Musi neri - Vite da ferrovieri” di Roberto Mattioni


691-022, locomotiva conservata al museo di Milano
La possente 691-022, oggi conservata al museo della Scienza e della Tecnica di Milano.


Chi si aspettava quest’anno, con la ricorrenza del centenario delle F.S. (1905-2005), festeggiamenti o rievocazioni storiche e almeno di rivedere correre sui binari, come promesso, la mitica 691-022, unica sopravvissuta della grande epopea dei treni rapidi a vapore, è rimasto non poco deluso.

Eppure l’occasione buona c’era, eccome, vista l’importante ricorrenza... Alla 691 erano allora affidati i treni più prestigiosi e veloci, pagine di storia la ricordano, era la più bella e possente vaporiera italiana, vanto della nostra genialità. Chi, meglio di lei allora, poteva rappresentare l’immagine delle Ferrovie dello Stato nel centenario?

Altri stati infatti non hanno perso l’occasione di farsi rappresentare dalle loro “Pacific” (così era definita questa tipologia di macchine a vapore veloci e prestigiose) e si poteva davvero pensare, per tempo, alla promozione di tale superba immagine, non erano i quattrini a mancare, né i volontari delle varie associazioni che sempre si prodigano – e gratuitamente – ai restauri in tali occasioni.... Il successo non sarebbe certo mancato, basta fare alcuni conti e guardare oltr’Alpe.... ma delle occasioni mancate sono pieni i libri (particolarmente quelli delle F.S.) e degli enti pubblici.

Del resto, un esempio lo abbiamo anche nella nostra bella Mantova, dove la 880-006 è lasciata a marcire nel parco Te, nonostante gli appelli reiterati di aiuto che abbiamo inviato... “mancano i fondi...” è la loro risposta. No, manca la cultura, manca la memoria storica e manca la volontà... è la nostra risposta! Sia come sia, a noi appassionati è affidato il compito di rifiutare l’oblio e l’indifferenza, nonché mantenere la memoria storica e per questo motivo scriviamo e ricordiamo.

Ed ecco il mio omaggio all’indimenticabile vaporiera 691, vera icona delle F.S. La possente locomotiva rivive uno dei tanti viaggi rapidi da Milano a Venezia e ritorno, con un racconto che è anche significativo della MISSIONE dei “musi neri” di allora, dello spirito di sacrificio e abnegazione e della simbiosi con la macchina che pulsava e respirava con loro. Un modesto omaggio per ricordare questi “eroi quotidiani d’altri tempi” e le loro locomotive e un invito a riflettere sui valori e sui “miti biodegradabili” di oggi...

..... Saliamo senza indugi nella cabina della 691, in un tardo pomeriggio di ottobre degli anni cinquanta e iniziamo il viaggio sul rapido 25, verso il mare...

Sotto la grande tettoia della stazione di Milano centrale brulicante di folla, il rapido R/25 pareva morto; la macchina fu attaccata e come per miracolo, tutto il treno, con un sussulto che si propagò fino all’ultima carrozza, si rianimò. La macchina era davvero gigantesca, alta metri 4,20 era lunga quasi 14 (senza il tender), pesava 95 tonnellate, distribuite su 12 ruote tra grandi e piccole, ma se ti avvicinavi alle grandi (mt 2,03), scomparivi come un nano nel confronto. Era tutta petto e corpo, calata sul telaio come una sfinge. Il colore era un bel nero lucido, le ruote erano rosse. Sopra la grande caldaia aveva un grosso e tozzo fumaiolo che sfiorava i fili elettrici della linea, quasi la macchina volesse trarre anche da quelli la sua enorme forza. I suoi grandi occhi accesi, spiavano già la via da percorrere e il suo cuore bistadio pulsava e sibilava mentre pompava l’aria nei serbatoi.....

Antonio il macchinista e Mario il fuochista, provarono i freni e si accertarono per l’ennesima volta che tutte le leve e i manometri funzionassero correttamente, poi attesero con calma, senza badare a quanto accadeva sui marciapiedi attorno. Erano venuti dal deposito all’ora esatta, con la macchina lucida e preparata, in meno di tre ore avrebbero attraversato la pianura padana per raggiungere il mare. 267 km senza fermate, tutti di corsa e in perfetto orario, come sempre…. Questo solo importava loro. Dal momento che erano saliti in cabina, l’unico scopo era solo quello di correre e correre contro il tempo e, appena arrivati, correre ancora per ritornare...

“Duecentocinquanta tonnellate, maestro” disse il capotreno ad Antonio e con un cenno di saluto beneaugurante si avviò al suo lavoro, salendo sulla prima vettura. Un trillo acuto e una paletta verde di lì a poco diedero il segnale di partenza. Antonio tirò fuori dal taschino il suo roskopf e con un’occhiata controllò l’orario. Con l’altra mano intanto, aveva già sollevato la lunga leva del regolatore. La grande macchina, come una mostruosa bestia, mosse pian piano le sue lunghe gambe d’acciaio e con un sospiro possente si tirò dietro le vetture rianimate, dalla tettoia all’aria aperta.

Da qui in poi, poteva finalmente sfogarsi, liberando il suo spirito ribollente e represso, lanciandosi in una lunga corsa. I colpi di scappamento, possenti come eruzioni, si susseguivano più ravvicinati, aumentando notevolmente la velocità del treno. Mario, guardando il manometro della pressione in caldaia, aprì il boccaporto del forno e la fiamma ravvivata ebbe un guizzo rossastro, quasi a volerlo rapire e portarlo con sè. Senza preoccuparsi, gettò sette volte nel grande forno, con la pala corta, il carbone e lo fece secondo le regole dell’arte, controllò il fuoco e chiuse il boccaporto soddisfatto: non male, disse e si voltò verso il grande tender da 29 tonnellate, per annaffiare il carbone, com’era d’uso, per abbassare le polveri e migliorarne il rendimento.

All’urto dell’acqua però, una formella mal equilibrata, resa precaria anche dalle scosse della corsa, cadde dall’alto e con lo spigolo tagliente colpì Mario ferendolo alle dita del piede sinistro. Pesava almeno 10 chili quel pezzo, il dolore fu acutissimo e a stento egli soffocò un urlo. Mario cos’hai? Chiese Antonio. Niente, niente, rispose Mario, un po’ per l’abitudine di nascondere le sue disgrazie e un po’ perché il suo superiore non l’accusasse di trascuratezza…. Ma il piede cominciò a gonfiarsi….

Lasciata indietro la città, la 691 trascinava come una furia scatenata le vetture per la pianura umida, nel pomeriggio d’autunno. Rompeva l’aria col petto possente e questa fischiava e gemeva, sfuggendo al rovente abbraccio; vomitava fumo e vapore dal camino come un vulcano in eruzione e gli sbuffi bianchi dei 4 cilindri inondavano le rotaie, le zolle del terreno e gli alberi lungo la linea, disegnando figure irreali ed eteree. Come presepi apparivano i paesi, i casolari e i campi. Non s’erano ancora visti, che già non c’erano più… Tutto veniva risucchiato all’indietro nella corsa irrefrenabile e subito spariva. Nel fragore assordante dello scappamento e del martellare dei giunti, nel mulinare di bielle e turbinare di vento, Antonio e Mario lavoravano tranquilli e attenti. Antonio riscontrava i segnali della linea, l’indicatore di velocità e la sua fedele “cipolla” roskopf che non abbandonava mai, era un dono del padre, anche lui “muso nero”.

Nel suo cervello si stampavano una dopo l’altra le stazioni e le stazioncine, i caselli e i passaggi a livello, i campi e i paesi già visti mille e mille volte. Era tranquillo, la 691 correva possente e sicura, le grandi ruote divoravano i chilometri minuto dopo minuto, in perfetto orario. Mario osservava invece il manometro, apriva di quando in quando il boccaporto e buttava nel grande forno, qualche palata di carbone, poi – stando bene attento – annaffiava il carbone sul tender. A volte un punto nero compariva da lontano, si ingrandiva fulmineamente e pareva volersi stampare sulla 691... Solo illusione ottica... Prima di comprendere che era il treno incrociante del binario accanto, ti era già passato di fianco con un tuono assordante e un fischio lacerante, in un turbine di vapore, polvere e foglie secche. Tutto tremava e vibrava... Era la fine del mondo in un batter di ciglia... poi più nulla... Ma ecco avicinarsi il fiume... Antonio, azionò prontamente la leva del freno, diminuendo la velocità. La possente macchina pur rallentata, entrò sul ponte squassandone l’ossatura d’acciaio, facendo scricchiolare e gemere ogni giuntura, poi girò maestosamente nell’ampia curva dei binari, passando davanti alla stazione della vecchia città, senza fermarsi. Il sottocapo è nuovo, disse Mario salutandolo.....

Ma lo disse a denti stretti, perché il dolore al piede aumentava…. Eh si, doveva essere successo qualcosa di brutto al piede... Guardando meglio la scarpa, si avvide che era tagliata in prossimità della punta, un taglio netto, quasi l’avesse colpita la lama di una scure e il sangue era tutt’uno col nero carbone... Volse lo sguardo altrove per non vedere quello spettacolo pietoso, non poteva farci nulla e si rimise a spalare carbone nel forno. La grande macchina, perennemente affamata e assetata, doveva subito riprendere velocità, non poteva certo fermarsi per i suoi guai…. Lui doveva fornire la forza e Antonio la doveva usare: regolandosi col manometro, doveva mantenere sempre la pressione giusta nella caldaia, era d’obbligo, non vi erano alternative. Antonio, ritto e vigile davanti agli strumenti, scrutando dalla vedetta, muoveva sapientemente le leve degli iniettori, il regolatore e il volantino di ammissione vapore ai cilindri. Erano entrambi una cosa sola e sincrona con la 691 e si può dire, con esempio umano, che se Antonio era il cervello della macchina, Mario ne era il ventre. Intanto la bruma si era addensata nella campagna e cominciavano ad accendersi i primi lumi.

Le larghe chiazze di luce delle stazioni o le povere luci delle stazioncine, apparivano per pochi momenti, si affievolivano e sparivano come erano apparse.

Antonio a volte rallentava la corsa, passava traballando sugli scambi e poi via, rialzava lesto il regolatore per non interrompere che per pochi istanti la corsa sfrenata, recuperando subito velocità sui binari liberi. Con potenza quasi incontrollabile, la 691 letteralmente volava sui binari assieme alle sue vetture, i quattro cilindri funzionavano ora a tutta apertura, il frastuono era immenso e avvolgente. Il pur grande camino pareva non farcela ad eruttare la massa di vapore che i cilindri gli inviavano come cannonate, assieme ai fumi della grande caldaia: 110 - 120 – 130 kmh, la lancetta del tachimetro non contenta, avanzava ancora ......!

Per Antonio quel frastuono assordante era solo musica, musica di cui coglieva ogni nota e ogni nota era accordata. Era raggiante: sì, era davvero ottima la sua 691, un purosangue da corsa che dava sempre il massimo quando glielo chiedeva. Sapeva però di avere anche un ottimo e instancabile fuochista, a cui andavano molti meriti. Molto bene, disse rivolto a Mario e gli sorrise. Non ricevette risposta. Per quanto cercasse di non badarci, Mario non riusciva quasi a tenere più il piede in terra. Il dolore lancinante gli imperlava di sudore la fronte e tentò di asciugarla senza farsi scorgere dal compagno. Tutto bene Mario? Si, si, fa molto caldo... e pensò: sarebbe mai finito quel viaggio...? La 691, quasi comprendesse il suo travaglio, non diminuì più la velocità e corse ancor più impetuosa, fino a quando non si avvicinò un lungo ponte… Antonio chiuse il regolatore e rallentò. Le luci ora non sparivano più, anzi aumentavano, la maestosa tettoia della stazione di Venezia Santa Lucia era lì.... davanti a loro!

La possente macchina rallentò ancora e con forte stridore di freni e un sussulto, si fermò definitivamente. “Orario maestro”, disse il capostazione ad Antonio. La 691 fu sganciata per andare in deposito per il rifornimento e i controlli. Anche Antonio e Mario dovevano pur rifornirsi e mangiare qualcosa... Fra due ore c’era la corsa di ritorno col rapido R26....! Dopo i controlli, la pulizia e la lubrificazione d’obbligo, Mario verificò il fuoco di stazionamento ed esclamò: fatto! Non ne poteva proprio più, ma si ostinava a nascondere al compagno la sua sventura. Vai avanti tu Antonio, ci vediamo dopo, questa sera non ho molta fame, ho mangiato a casa….

Non era vero, ma sentiva l’umiliazione di non essere uguale al compagno, gli pesava il fatto di non aver posto la massima attenzione e soprattutto non voleva che Antonio, avvedutosi del guaio, potesse chiamare un altro fuochista a sostituirlo…. questo mai, il servizio era servizio! Quando si fu allontanato, Mario si convinse, con passo incerto, sudando per il dolore, ad andare in infermeria. Qui giunto, gli tolsero la scarpa e l’infermiere si accorse che l’alluce era ormai violaceo e le altre dita erano una massa scura, nere come il carbone.... Stava per chiamare subito il medico, ma Mario disse: No, no, quello mi fa ricoverare e io non voglio, fra due ore devo ritornare sulla 691 per il rapido 26 e non voglio essere sostituito, devo tornare a Milano... Disinfettalo e bendalo, mi curerò meglio a casa...! L’infermiere gli disse: attento, se senti formicolio alla gamba, devi rinunciare e andare subito in ospedale, per il tuo bene, altrimenti…. Mario non rispose e dopo la medicazione, si avviò verso la sua locomotiva, appoggiando a terra solo il tallone. Per la strada incrociò Antonio che gli chiese: cos’hai Mario, cosa ti è successo? Niente, niente, solo una storta, non ho visto un tombino….. Ma ti senti bene...? Mi sembri molto pallido, vuoi che ti sostituisca?

No, no sto bene, mi corico una mezz’oretta e poi andiamo, tanto è ancora presto…. Il personale dei rapidi a vapore era allora l’aristocrazia dei ferrovieri, come del resto aristocratica ed unica era la possente 691. Prima di avere l’onore di condurla, macchinisti e fuochisti dovevano allenarsi ad una lunga scuola, sottoporsi ad esami e giudizi severi, non bastava solo la bravura professionale, occorreva buona salute e prestanza fisica, serietà, dirittura morale e una buona dose di coraggio...

Musi neri speciali quindi e così si capisce la loro dedizione al Dovere e anche che erano difficilmente sostituibili, una volta affiatati... Coricato sulla brandina, Mario sentiva un po’ meno il lancinante dolore e pensava: ce la farò ancora per tre ore in piedi a spalare tonnellate di carbone nel forno? Poi la stanchezza ebbe il sopravvento. Si svegliò un po’ prima di Antonio e si avviò lentamente alla macchina per accudire il fuoco....

Quando giunse il momento, la 691 era pronta e uscì dal deposito sbuffando, avviandosi verso la stazione. Il vapore sibilava dai tubi e dai cilindri dipingendo nell’aria bianche nuvole eteree e ad ogni giro le possenti ruote schiacciavano al suolo le sottili rotaie. Era tempo e assieme, come un sol uomo i due ripresero il lavoro, dopo che la verde paletta del “capo” li ebbe congedati dalla stazione marittima. Mario sentiva che la gamba ora cominciava ad intorpidirsi e gettava ancor più carbone nel forno, per stordirsi di fatica e non pensare. Ricomparvero e scomparvero ancora le luci delle grandi e delle piccole stazioni, passarono ancora di fianco a loro tuonando e fischiando i mostri neri dagli occhi di fuoco, in un turbinìo di vapore e un tornado di vento, poi arrivò ancora il ponte in ferro, come prima scricchiolò e gemette sotto il peso e poi ancora luci e ombre, come in un film già visto… Luci e ombre erano anche nella testa di Mario, pulsavano, si accendevano, si confondevano tra loro come in un orrendo incubo. Sentiva il suo corpo bruciare ma sudava freddo, forse era la febbre, forse era il fuoco del forno o forse era già arrivato all’inferno...

Senza mai smettere però, egli forniva la forza alla 691 che la eruttava subito come un vulcano, sotto il vigile controllo di Antonio. D’improvviso si allinearono le luci della grande città, splendettero le alte tettoie illuminate a giorno e la possente macchina finalmente rallentò la sua corsa, imboccando la grande tettoia del capoluogo lombardo. Si arrestò vicino al paraurti e un torrente chiassoso di viaggiatori traboccò dalle carrozze, avviandosi alle uscite, disperdendosi in mille rivoli. Tanta gente, tanti destini e tante strade diverse che per qualche ora la possente macchina aveva riunito...

La 691, sganciata dal suo treno, si avviò lentamente al deposito per riposare, dopo quella galoppata a briglia sciolta. Anche Antonio e Mario, finalmente si sarebbero riposati. Prima di salutarsi, Antonio chiese al compagno: come stai? Chi io? Rispose Mario, raccogliendo le ultime forze rimastegli.... mai stato così bene... Meglio così disse Antonio, allora ci vediamo tra dodici ore, ciao, riguardati. Mario che non si reggeva più in piedi e non vedeva l’ora di andare dal medico, guardando la sua 691 che in fondo era anche la ragione di vita, ebbe un pensiero: ce la farò a tornare fra 12 ore? Poi volgendo lo sguardo al cielo disse: “Dio aiutami, fammi tornare….”

No, non tornò, il destino non fu benevolo con lui, del resto aveva dato troppo, molto di più di quanto il dovere potesse mai chiedergli... Con la sua locomotiva, Mario aveva affrontato l’ultima corsa. Ma anche la 691 non corse per molto ancora... Da lì a poco, nel 1957, caduti ormai i vincoli militari, la linea Milano-Venezia fu elettrificata e le 691 relegate pian piano a servizi ordinari, poi mestamente accantonate....

Così, prima nel silenzio surreale di oscuri binari morti e poi nell’inferno rovente di anonime fonderie, finisce la gloriosa storia della 691, la più possente e bella vaporiera italiana, incomincia però il suo mito.....
.....la 022 è sopravvissuta....


Roberto Mattioni


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