“AMARCORD”, mi è sembrato il titolo giusto per l’obiettivo che mi pongo da queste pagine.
Ognuno è figlio del suo tempo e se è impossibile immaginare cosa ci riserva il futuro,
più semplice è fare l’operazione contraria, ovvero viverlo a ritroso e ritornare alla
quotidianità dei nostri padri o dei nostri nonni.
Questa operazione alla ricerca delle nostre
radici non è priva di fascino e di utilità (perché come detto, del futur non v’è certezza..),
ma occorre cambiare l’habitus mentale e la realtà che ci vede oggi circondati da ogni comodità
e dal superfluo (per quanto ancora?), per ricreare quel mondo così diverso, fatto di umili e
povere cose, di persone semplici e forse non a tutti piacerebbe scoprire che solo 50 anni fa,
finita una tragica guerra mondiale e ricostruito con immensa fatica e sacrificio il paese, si
lavorava duro, si piegava la schiena a volte per poche lire e il boom economico era un lontano
miraggio...
Ricostruire quel mondo coi suoi ritmi, i suoi usi, le sue persone, è possibile se
si è stati testimoni di allora, come lo si è di oggi e così anche fare confronti, risulta più
agevole. Quel tempo rivivrà nei racconti che seguono, attraverso le persone e le cose, ognuno
poi giudicherà.....
Nell’ambiente ferroviario, la scritta F.S. spiccava ovunque a simboleggiare le ferrovie dello
stato, la grande azienda che assicurava “un posto fisso” ai suoi dipendenti, in un certo qual
modo “privilegiati” rispetto ai comuni mortali che vivevano alla giornata. Ma se su quelle
iniziali venne creato l’acronimo di “Fame e Sete”, anche per scherzarci sopra, del vero
c’era.... Gli stipendi erano sì garantiti dallo stato, ma erano basati sulle ore di lavoro,
sui turni di servizio e bastava sgarrare di poco o essere sfortunati per vedersi sospendere
la tanto ambìta paga.... Non tutti sanno ad esempio che le locomotive non erano banalizzate
come oggi, bensì assegnate ognuna ad un agente (o coppia di agenti).
Questo significava che
se si fermava la locomotiva, per qualsiasi imprevisto, anche gli agenti erano sospesi dal
servizio per lo stesso periodo, assieme alla paga...! Poi c’erano da considerare i premi e le
multe. I primi, neanche dirlo, erano molto ambìti ma difficili da ottenere e sempre con
sacrifici fisici, tipo i servizi aggiuntivi o turni notturni supplementari, poi c’era quello
del risparmio olio o carbone che costringevano per poche lire, i macchinisti a fare salti
mortali nella condotta del treno... Le multe, non certo desiderate, invece fioccavano.
Bastavano lievi ritardi in servizio, la divisa non in perfetto ordine, una parola di troppo
al dirigente di turno, una critica o una violazione puramente formale anche di mere procedure
burocratiche, ed ecco andare in fumo giornate di duro lavoro... Come successe a quel
disgraziato fuochista, addirittura sospeso dal servizio a causa di un rapporto
dell’intransigente D.M., perché per ben 2 volte fece soffiare in stazione le valvole di
sicurezza della sua locomotiva... Esasperazione formale?? Forse... Si può dire però che in
ferrovia vigeva allora una disciplina militaresca, l’esatto contrario di quanto accade oggi,
per intenderci. Leggendo i racconti, è bene tenere questi fatti sempre presenti, come è bene
tener presente anche l’alto senso del dovere insito in quegli agenti. Fortunatamente non c’era
solo disciplina formale tra i ferrovieri, ma stima e rispetto reciproco, nonché forte
spirito di corpo... Quanti amici in ogni stazione, in ogni deposito, in ogni avventura...!
Un fischio dalla cabina, un saluto complice, una pacca sulle spalle, una barzelletta, un
bicchierino alla salute, bevuto assieme al bar nell’attesa... e via, ognuno sulla propria
macchina, ad affrontare il destino... ma col sorriso sulle labbra. Non era necessario
conoscersi per aiutare chi aveva bisogno, o per perdonare un errore...! Era un mondo severo,
ma semplice e i sentimenti erano
sinceri.... Non per nulla parlando dei “musi neri”, li definisco “anime candide”...
Non è nostalgia, nemmeno retorica. Quest’ultima la lascio a certi “potentati” di oggi,
sempre più protagonisti delle pagine scandalistiche dei quotidiani, quando non ospiti delle
patrie galere. A loro dedico il motto a rovescio e in lettere minuscole: “musi candidi e
anime nere”, al contrario dei “Musi Neri”, nessuno li rimpiangerà...
Buona lettura.
Roberto Mattioni
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